Fin da bambino sono stato affascinato dalla maestosa e silenziosa presenza del “signore delle tempeste”: il faro.
Ho ricordi meravigliosi, perché sono un nipote fortunato. Fortunato davvero, perché ho avuto un nonno speciale: Leo Serluca, che ha dedicato, con amore e onore, la propria vita a controllare che l’occhio del faro restasse sempre acceso, per illuminare la rotta di chi si trovava in balia della tempesta.
Il faro è un simbolo potente, ricco di significato. Non si cura del vento che infuria: resta saldo, possente, alto. Sfida la notte, le onde, le tempeste. Brilla in ogni direzione, indicando un porto sicuro, una speranza, una via.
Proprio come l’acqua rappresenta le emozioni, il faro è la forza spirituale che ci sostiene nei momenti più bui. È l’energia che ci rialza quando siamo allo stremo. La luce che ci ricorda chi siamo e perché siamo qui.
E poi arriva il giorno. Quando sorge il sole, il faro si spegne, silenzioso. Ha fatto il suo dovere. Poseidone si è calmato, il cielo si rischiara, e si aprono nuovi orizzonti. Anche per questo il faro è simbolo di trasformazione: è rinascita, è lasciare andare il passato per proteggere, con presenza e vigore, ciò che oggi conta davvero.
Il primo faro conosciuto fu costruito sull’isolotto di Pháros, ad Alessandria d’Egitto, nel III secolo a.C. Tra le divinità, era sacro a Iside, detta “Pharia”.
E sebbene il faro evochi speranza, protezione, sicurezza, la sua posizione estrema, sospesa tra mare e cielo, gli conferisce un alone di mistero. Non mancano racconti di spiriti che scelgono queste case di luce come dimora eterna.
Forse perché, in fondo, sono davvero dei piccoli portali tra la terra e il cielo…
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